A Kabul l’alta moda incontra l’ethical design

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royahTra le vie polverose di Kabul c’è un gruppo di donne che lavora su tessuti pregiati intrecciando storie antiche e alta moda. E’ il laboratorio creato nel 2005 da Gabriella Ghidoni, ex-psicologa e funzionaria dell’ONU trapiantata in Afghanistan, dove quindici donne afghane lavorano nell’atelier Royah, che in persiano significa ‘visione’. La visione – quella di Gabriella – di una moda che sappia conquistare il pubblico internazionale restando ancorata alla tradizione afghana, un’eleganza che mescoli il gusto orientale con quello occidentale. Soprattutto una moda etica, che concili le esigenze di guadagno dell’imprenditore con il rispetto del lavoro altrui. Niente sfruttamento a Royah ma, anzi, un’attenzione delicata per quelle 15 ragazze, artigiane esperte, con nomi da principesse – Fatima, Fausa, Jasmeen… – ma con una vita che di principesco non aveva nulla. Non­ è facile vivere in una città sotto assedio – come Kabul è stata per anni – e non­ è facile far parte di una società maschilista come quella afghana.La collezione autunno-inverno 2008 è stata anche presentata all’Ethical Fashion Show di Parigi, dove già lo scorso anno aveva suscitato grandi elogi da parte del mondo politico francese.
Inoltre, a Royah si lavora esclusivamente con materiali locali, per evitarne la scomparsa. Così i motivi e i ricami disegnati sui tessuti recuperano un’antichissima tradizione tribale e religiosa, ma al tempo stesso sono quelli che Gabriella usa per gli abiti che fa sfilare nelle capitali della moda occidentale.

L’altra faccia della moda  è quindi a Kabul, dove assicura un futuro alla nuova generazione di afghane.

Guarda l’intervista a Gabriella per FemininBio.com


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