Moda equosolidale: Royah, un sogno targato Afghanistan
Di Valeria ScottiSe l’etica entra nel guardaroba, diciamo che siamo a un buon punto. Oggi poi non esistono più i se, ma solo le certezze. E allora parliamo con tutte le nostre forze di moda equosolidale.
Come il progetto Royah che in Dari, dialetto afgano, significa visione (inteso come sogno). Royah nasce nel 2005 in Afghanistan con la volontà di unire il più possibile arte e sviluppo a favore delle donne che vivono in zone di conflitto.
Il merito è della designer italiana Gabriella Ghidoni, laureata in psicologia del lavoro e delle organizzazioni a Padova. Poi un corso in design del gioiello, una nonna pugliese brava a cucire e una nonna cremonese abile nel ricamo.
Tra i desideri, dunque, c’è quello di rafforzare l’economia locale garantendo auto-sostentamento, favorendo la creazione di una impresa al femminile (aspetto sempre positivo).
I prodotti di Royah? Originali, non c’è che dire. Tagli geometrici che richiamano l’arte islamica, ricami e un forte desiderio di recupero delle tradizioni popolari afgane. Molte di queste, non a caso, tramandate dal popolo femminile. Da sottolineare, infine, l’utilizzo di materiali afghani – lane, sete e cotoni – prodotti in loco.
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